Introduzione

Per circa 2000 anni c’è stato il fenomeno storico della Cristianità. Malgrado la chiesa attraverso i suoi primi anni soffrì intense persecuzioni per mano sia dei Giudei che dei Romani, essa comunque rinacque. Molti dei primi missionari di fede Cristiana morirono martirizzati a motivo del loro credo in Gesù Cristo.

Perché questi primi Cristiani vollero affrontare la morte per il loro credo in Gesù Cristo? Fu perché furono convinti del fatto storico della risurrezione di Gesù Cristo e questo provò senza ombra di dubbio che Gesù Cristo era il Figlio di Dio e anche l’unico Salvatore del mondo. Così per loro, la morte non consisteva nella fine. La risurrezione è un fatto storico e non semplicemente un pensiero, un ideale filosofico o idea.

Contesto Storico

Di conseguenza, il messaggio della chiesa primitiva era sempre incentrato sul fatto storico della risurrezione e questo non era un semplice mito teologico che iniziò a circolare tra i discepoli di Gesù Cristo 20 o 30 anni dopo di esso ma era un messaggio proclamato sin dal primo mattino del terzo giorno e si trattava anche di un messaggio basato su di una prova incontestabile.

Luca 24:9-11; 33-35 Al loro ritorno dal sepolcro, raccontarono tutte queste cose agli undici e a tutti gli altri. 10 Or quelle che riferirono queste cose agli apostoli erano Maria Maddalena, Giovanna, Maria madre di Giacomo e le altre donne che erano con loro. 11 Ma queste parole parvero loro come un'assurdità; ed essi non credettero loro… . 33 In quello stesso momento si alzarono e ritornarono a Gerusalemme, dove trovarono gli undici e quelli che erano con loro riuniti insieme. 34 Costoro dicevano: «Il Signore è veramente risorto ed è apparso a Simone». 35 Essi allora raccontarono le cose avvenute loro per via, e come lo avevano riconosciuto allo spezzar del pane.

Atti 1:21-22 Bisogna dunque che tra gli uomini che sono stati in nostra compagnia per tutto il tempo in cui il Signor Gesù è andato e venuto tra noi, 22 cominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui egli fu portato in cielo da mezzo a noi, uno di questi diventi testimone con noi della sua risurrezione».

Atti 2:23-24; 31-32 egli, dico, secondo il determinato consiglio e prescienza di Dio, vi fu dato nelle mani e voi lo prendeste, e per mani di iniqui lo inchiodaste alla croce e lo uccideste, 24 Ma Dio lo ha risuscitato, avendolo sciolto dalle angosce della morte, poiché non era possibile che fosse da essa trattenuto. … 31 e, prevedendo le cose a venire, parlò della risurrezione di Cristo, dicendo che l'anima sua non sarebbe stata lasciata nell'Ades e che la sua carne non avrebbe visto la corruzione. 32 Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato; e di questo noi tutti siamo testimoni.

Atti 3:14-15 Ma voi rinnegaste il Santo, il Giusto, e chiedeste che vi fosse dato un assassino 15 e uccideste l'autore della vita, che Dio ha risuscitato dai morti e del quale noi siamo testimoni!

Atti 10:39-41 E noi siamo testimoni di tutte le cose che egli ha fatto nel paese dei Giudei e in Gerusalemme; e come essi lo uccisero, appendendolo a un legno. 40 Ma Dio lo ha risuscitato il terzo giorno e ha fatto sì che si manifestasse, 41 non già a tutto il popolo, ma ai testimoni preordinati da Dio, a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui, dopo che è risuscitato dai morti.

Atti 13:29-39 Dopo aver compiuto tutte le cose che sono scritte di lui egli fu tratto giù dal legno e fu posto in un sepolcro. 30 Ma Dio lo risuscitò dai morti. 31 ed egli fu visto per molti giorni da coloro che erano saliti con lui dalla Galilea a Gerusalemme, i quali sono ora i suoi testimoni presso il popolo. 32 E noi vi annunziamo la buona novella della promessa fatta ai padri, 33 dicendovi, che Dio l'ha adempiuta per noi, loro figli, avendo risuscitato Gesù come anche è scritto nel secondo salmo: Tu sei il mio Figlio. oggi ti ho generato. 34 E poiché lo ha risuscitato dai morti per non tornare più nella corruzione, egli ha detto così: Io vi darò le fedeli promesse fatte a Davide. 35 Per questo egli dice anche in un altro Salmo: Tu non permetterai che il tuo Santo veda la corruzione. 36 Or Davide, dopo aver eseguito il consiglio di Dio nella sua generazione, si addormentò e fu aggiunto ai suoi padri, e vide la corruzione, 37 ma colui che Dio ha risuscitato, non ha visto corruzione. 38 Vi sia dunque noto, fratelli, che per mezzo di lui vi è annunziato il perdono dei peccati, 39 e che, mediante lui, chiunque crede è giustificato di tutte le cose, di cui non avete potuto essere giustificati mediante la legge di Mosè.

Atti 17:30-31 Ma ora, passando sopra ai tempi dell'ignoranza, Dio comanda a tutti gli uomini e dappertutto che si ravvedano. 31 Poiché egli ha stabilito un giorno in cui giudicherà il mondo con giustizia, per mezzo di quell'uomo che egli ha stabilito; e ne ha dato prova a tutti, risuscitandolo dai morti».

Atti 26:22-23 Ma, per l'aiuto ottenuto da Dio fino a questo giorno ho continuato a testimoniare a piccoli e grandi, non dicendo nient'altro se non ciò che i profeti e Mosè dissero che doveva avvenire, 23 cioè: che il Cristo avrebbe sofferto e che, essendo il primo a risuscitare dai morti, avrebbe annunziato la luce al popolo e ai gentili».

Da notare come inizia il libro degli Atti degli Apostoli:

Atti 1:1-3 Io ho fatto il primo trattato, o Teofilo, circa tutte le cose che Gesù prese a fare e ad insegnare, 2 fino al giorno in cui fu portato in cielo dopo aver dato dei comandamenti per mezzo dello Spirito Santo agli apostoli che egli aveva scelto. 3 Ad essi, dopo aver sofferto, si presentò vivente con molte prove convincenti, facendosi da loro vedere per quaranta giorni e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio.

Senza la risurrezione sarebbe tutto finito al verso 1 e la morte ne sarebbe stata la conclusione ma prendiamo nota di cosa i versi 2 e 3 dicono:

“Prove convincenti” il verso 3 usa come termine originale Greco tekmerion derivante dalla radice tekma che significa “limite stabilito, obbiettivo finale” Tekmerion significa “un segno stabilito e certo, una evidenza o prova” La parola è usata come prova dimostrante ed evidente in contrasto con mere superstizioni filosofiche o segni fallibili. Galen, che era scrittore medico del secondo secolo D.C. utilizzò la parola tekmerion in questo modo. Quindi anche Luca, il fisico storico esperto nel raccogliere prove, scelse questo particolare termine per confermare la prova storica, quale più convincente termine per una prova legale.

Inoltre Luca aggiunge l’aggettivo “molte” per farci capire che esaminò attentamente le prove. Il Dr. Luca che visse al tempo di Gesù Cristo e che aveva personalmente parlato con molti testimoni oculari ci sta dicendo che c’erano molte prove dimostrabili ed incontestabili, non solamente una o due ma molte. (Cfr. Luca 1:1-2)

Sin dal principio ci furono quelli che rigettarono la risurrezione come se fosse una mistificazione, una favola, una finzione o una menzogna. Un certo numero di teorie sono state presentate per dimostrare la falsità della risurrezione ma sono state tutte grandemente screditate dagli studiosi di storia uno dopo l’altro. Da notare come non uno straccio di prova valida è mai stata presentata a supporto di quelle affermazioni. Dunque come mai gli uomini fanno queste affermazioni? Perché non hanno mai esaminato le prove oppure a motivo dei loro pregiudizi, dei loro preconcetti filosofici, o della loro incredulità in questo evento miracoloso.

Il silenzio dei nemici di Cristo e la mancanza di prove storiche contro la risurrezione sono da sé quasi una grande evidenza di prova positiva della risurrezione di Gesù Cristo. Nella mia libreria, ho un libro che tratta il dibattito tra Gary Habermas e Anthony Flew intitolato, Gesù risorse dai morti?, dibattito sulla risurrezione. Il dibattito fu tenuto a Dallas e fu giudicato da una giuria organizzata in due gruppi di esperti nelle loro rispettive aree di specializzazione per fornire un verdetto sull' argomento del dibattito. Il primo gruppo consistette in cinque filosofi a cui fu chiesto di giudicare il contenuto del dibattito e decretarne il vincitore, il secondo consistette in cinque giudici di dibattito molto esperti a cui fu chiesto di giudicare le tecniche di argomentazioni dei dibattitori. Tutti e dieci i partecipanti prestano servizio in facoltà universitarie Americane e collegi come l’Università di Pittsburgh, l’Università della Virginia, l’Università Western Kentucky, l’Università James Madison e l’Università George Mason.

Le decisioni dei giudici furono le seguenti. Il gruppo dei filosofi giudicanti il contenuto diede quattro voti per Habermas il quale discuteva a favore del fatto della risurrezione, nessuno per Flew ed uno nullo. Il gruppo dei giudici esperti del dibattito votarono tre a due, anch' essi in favore di Habermas, questa volta riguardo al metodo di argomentazione. Da notare che un giudice disse:

Io sono del parere che l’oratore a favore della risurrezione [Habermas] ha un significativo carico di prove per confermare le sue dichiarazioni. La varietà di fonti storiche mi convinse ad accettare gli argomenti dell’oratore a favore. Il Dr. Flew contrario alla risurrezione, d'altra parte, non fu in grado, in particolare nel momento della confutazione e durante la sessione testa a testa, di presentare significativi punti a sostegno della sua posizione. Il Dr Habermas ritenne grave il fatto che il Dr. Flew negasse molti punti specifici. Quando le controprove avanzarono, disse Habermas, ebbi l'impressione che il Dr. Flew cercasse di evitare le accuse (Habermas and Flew, p. xiv).

Un’altro giudice esperto di dibattito disse:

Io concludo che la prova storica, sia pure imperfetta, è abbastanza forte per indurre menti razionali a concludere che Cristo di fatto risorse dai morti. Habermas aveva già vinto il dibattito. … Sconfiggendo la critica scettica dei miracoli in generale, ispirata al filosofo Hume e presentata da Flew e dimostrando la forza di alcune delle prove storiche, Habermas concluse fornendo “prove altamente probabili” sulla storicità della risurrezione “e mancanza di prove scientifiche plausibili contro di essa.” Habermas dunque, a mia opinione, vinse il dibattito (Ibid., p. xv).

Una Assurdità
Teologica e Filosofica

Ci sono sempre quelli che dicono che il fatto storico di una risurrezione fisica di Gesù Cristo non è importante. “E' sufficiente” dicono, che uno creda in una risurrezione spirituale, oppure che …

il fu Norman Perrin, uno studioso del Nuovo Testamento dell' Università di Chigago altamente stimato, rimarcò non molto tempo fa che la cosa veramente importante riguardo la risurrezione di Gesù non è tanto la realtà storica di quell'evento, ma le verità teologiche che essa esprime” (William Craig, Knowing the Truth About the Resurrection, Servant Books, p. xiii).

Altri hanno sostenuto non c'è bisogno di credere nella risurrezione. Se questo interferisce col tuo modo di pensare razionale, accetta semplicemente Gesù come come un gran leader e come un esempio di amore, gentilezza e pace.

Questo modo di pensare è semplicemente senza senso, illogico, e contrario ai fatti della vita di Cristo.

Abbiamo bisogno di vedere chiaramente che ci possono essere implicazioni teologiche positive sulla risurrezione solo per il fatto che la sua realtà storica è confermata. Mentre molti teologi possono trovare questo tipo di convinzione disperatamente antiquata, l'uomo di strada lo sa bene. Il suo buon senso gli dice che non c'è nessuna ragione per la quale un uomo morto debba essere decisivo per la sua esistenza oggi, ed io sono d'accordo con lui. Una volta che gli insegnamenti dottrinali vengono staccati dalle loro realtà storiche, siamo entrati nell'arena del mito. E semplicemente non c'è più una buona ragione per preferire i miti Cristiani agli altri miti o addirittura alle filosofie secolari. La risurrezione è reale per le nostre vite odierne soltanto quando è reale l'evento nella storia (Craig, p. xiii).

Se togliamo la risurrezione, allora Gesù Cristo non era nemmeno un buon leader umano, ma una mostruosità umana il quale si poneva allo stesso livello di un uomo che pensa di essere Capitan Meraviglia. Sia che egli fosse il più grande ingannatore del mondo meritevole di morire o che Egli fu chi dichiarava di essere, il Dio-Uomo Salvatore del mondo, la risurrezione è quella che fa la differenza.

Non è mia intenzione di presentare tutte le prove, ma di concentrare l'attenzione su alcune delle più rimarchevoli ed importanti prove.

La Prova della Pietra

Matteo 28:1-4 Ora, alla fine dei sabati, all'alba del primo giorno dopo i sabati, Maria Maddalena e l'altra Maria, andarono a vedere il sepolcro. 2 Ed ecco, si fece un gran terremoto, perché un angelo del Signore, sceso dal cielo, venne e rotolò la pietra dall'apertura del sepolcro e si pose a sedere su di essa. 3 E il suo aspetto era come di folgore e il suo vestito bianco come la neve. 4 E, per lo spavento che ebbero di lui, le guardie tremarono e rimasero come morte;

Marco 16:1-4 Ora, trascorso il sabato, Maria Maddalena, Maria, madre di Giacomo, e Salome acquistarono degli aromi a per andare ad imbalsamare Gesù. 2 La mattina del primo giorno della settimana, molto presto, vennero al sepolcro al levar del sole. 3 E dicevano fra di loro: «Chi ci rotolerà la pietra dall'entrata del sepolcro?». 4 Ma, alzando gli occhi, videro che la pietra era stata rotolata, sebbene fosse molto grande.

Luca 24:2 E trovarono che la pietra era stata rotolata dal sepolcro.

Giovanni 20:1-9 Or il primo giorno dopo i sabati, al mattino quando era ancora buio, Maria Maddalena andò al sepolcro e vide che la pietra era stata rimossa dal sepolcro. 2 Allora andò di corsa da Simon Pietro e dall'altro discepolo che Gesù amava e disse loro: «Hanno tolto il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'abbiano posto». 3 Pietro dunque e l'altro discepolo uscirono fuori e si avviarono al sepolcro. 4 Correvano tutti e due insieme, ma l'altro discepolo corse avanti più in fretta di Pietro e arrivò primo al sepolcro. 5 E, chinatosi, vide i panni di lino che giacevano nel sepolcro, ma non vi entrò. 6 Arrivò anche Simon Pietro che lo seguiva, entrò nel sepolcro e vide i panni di lino che giacevano per terra, 7 e il sudario, che era stato posto sul capo di Gesù; esso non giaceva con i panni, ma era ripiegato in un luogo a parte. 8 Allora entrò anche l'altro discepolo che era giunto per primo al sepolcro, vide e credette. 9 Essi infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che egli doveva risuscitare dai morti,

Il Sigillo sulla Pietra

Il sigillo posto sulla pietra (Mt. 27:62-66). Come affermato dai Farisei, fu una loro richiesta verso Pilato al fine di impedire ogni tipo di imbroglio o menzogna da parte dei discepoli di Gesù Cristo. Facendo questo, tuttavia, fornirono due prove eccellenti in più sulla risurrezione di Cristo. Involontariamente, prepararono una inconfutabile controprova delle loro affermazioni nel tentativo di screditare il fatto della risurrezione (cf. Mat. 28:11-15).

Il sigillo includeva due cose (1) una corpo di guardia Romana, e (2) un sigillo consistente in una corda incerata intorno la pietra e collegata alla tomba.

Matteo 27:65, Voi avete un corpo di guardia; andate, e assicurate il sepolcro come vi sembra meglio.

Alcuni hanno dichiarato che Pilato rifiutò la richiesta di un corpo di guardia Romano dicendo loro di usare quello che era a guardia del tempio. Ma il verbo utilizzato può essere un imperativo, prendete un corpo di guardia, assicurate il sepolcro come vi sembra meglio. Può anche significare che stesse dando loro il permesso di ottenere un corpo di guardia Romano.

La parola guardia è la parola Greca kustodia, dal Latino o Romano custodia. L'uso di questo particolare termine sta ad indicare un corpo di guardia Romano e non il corpo di guardia del tempio dei Giudei. Questo è ulteriormente verificato dal fatto che chiesero a Pilato un corpo di guardia. Se avessero potuto utilizzare il loro corpo di guardia allora perchè andare da Pilato? Ancora, se solo il corpo di guardia del tempio ne era implicato, la citazione del verso 14 sarebbe stata inutile. Nessuno avrebbe dovuto parlare al governatore e tantomeno corrompere qualcuno.

Perchè ciò era così importante? Perchè la presenza alla tomba dei soldati Romani ed il sigillo Romano sulla pietra che la chiudeva rese possibile ai capi religiosi dichiarare più volte la maggior difficoltà se non l'impossibilità. La probabilità che questi timidi, timorosi Galilei e discepoli potessero o volessero rubare il corpo di Gesù da sotto il naso di questo corpo di guardia di soldati Romani abili e altamente disciplinati, non è solo ridicolo ma impossibile. Anche se i soldati si fossero addormentati, pensate al rumore che i discepoli avrebbero fatto cercando di spostare la grande pietra che impediva l'accesso alla tomba!

La Pietra Rotolata Via

Le tombe in Palestina erano qualcosa come uno scavo intagliato nella parte rocciosa di una montagna o collina. Consistevano di un ingresso rettangolare che accedeva alla camera principale o camera centrale con una nicchia scolpita nel lato di uno dei muri interni dove il corpo veniva posto. Alla fine della nicchia vi era una parte rialzata appositamente per la testa.

L'ingresso della camera centrale era chiusa da una larga pietra circolare o pesante disco di pietra messo in una scanalatura obliqua così che quando la pietra veniva liberata, sarebbe rotolata col suo stesso peso a chiudere l'entrata. Per il suo enorme peso (talvolta di alcune tonnelate) spostarla avrebbe richiesto lo sforzo combinato di molti uomini per riportarla nella scanalatura e bloccarla. Dunque chi avrebbe rotolata via la pietra?

¤ I nemici non l'avrebbero fatto poichè il loro scopo era di tenere il Suo corpo lì con la porta sigillata (Mat. 27:62-66).

¤ Se furono i discepoli a togliere il corpo, lo fecero all'insaputa delle donne, perchè vennero aspettandosi di trovare il corpo (Giov. 20:1-2). Inoltre le guardie erano presenti.

¤ Le donne da sole non sarebbero state in grado di rimuovere la pietra. Così, venendo alla tomba il mattino della risurrezione, si stavano domandando chi avrebbe rimosso la pietra per loro (Marco 16:2-8).

¤ Matteo 28:2-4 Ci dice che fu un angelo del Signore e questo mostra un' intenzione divina.

Non fu rimossa affinchè Cristo potesse andarsene in quanto egli avrebbe potuto passare attraverso i muri col Suo corpo glorificato. Fu rimossa per uno scopo divino, al fine di richiamare l'attenzione sulla testimonianza della tomba vuota. La tomba fu aperta non per permettere a Gesù di uscirene ma per permettere alla gente di entrarvi.

Perchè la gente aveva bisogno di entrare? Perchè dentro la tomba stessa vi erano deposte alcune prove stupefacenti sul fatto della risurrezione di Gesù, la testimonianza dei panni della sepoltura.

La Prova della Tomba Vuota

Giovanni 20:2-9 Allora andò di corsa da Simon Pietro e dall'altro discepolo che Gesù amava e disse loro: «Hanno tolto il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'abbiano posto». 3 Pietro dunque e l'altro discepolo uscirono fuori e si avviarono al sepolcro. 4 Correvano tutti e due insieme, ma l'altro discepolo corse avanti più in fretta di Pietro e arrivò primo al sepolcro. 5 E, chinatosi, vide i panni di lino che giacevano nel sepolcro, ma non vi entrò. 6 Arrivò anche Simon Pietro che lo seguiva, entrò nel sepolcro e vide i panni di lino che giacevano per terra, 7 e il sudario, che era stato posto sul capo di Gesù; esso non giaceva con i panni, ma era avvolto in un luogo a parte. 8 Allora entrò anche l'altro discepolo che era giunto per primo al sepolcro, vide e credette. 9 Essi infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che egli doveva risuscitare dai morti,

La reazione di Maria

Avendo visto la pietra rimossa, la reazione immediata di Maria fu pensare che dei ladri, forse i Giudei, avessero preso il corpo. Senza entrare come fecero le altre donne, ella ritornò da Pietro e Giovanni. La sua conclusione fu hanno portato via il Signore (riferendosi probabilmente ai Giudei) .

La reazione dei discepoli

Giovanni arrivò per primo e vide i panni di lino ancora avvolti. Il verbo usato (in Greco blepo) descrive il semplice atto di vedere gettando un occhio, un semplice sguardo. Proprio quello sguardo casuale attirò l'attenzione di Giovanni dove gli indisturbati involucri, erano giacenti ordinati nella loro naturale posizione così come quando avvolgevano il corpo. La parola ordinati lo rende evidente, giacenti anche prima. Persino uno sguardo casuale è attirato da questo.

Allora Pietro arrivò e, col suo modo impetuoso entrò immediatamente e vide. La parola vide è theoreo. Questa parola denota una determinata ed attenta osservazione, uno che osserva i dettagli, non solo una occhiata casuale. Ciò che Pietro osservò furono i panni di lino avvolti.

La Prova
dei Panni Sepolti

Le Osservazioni di Pietro

¤ Pietro osservò i panni avvolti che giacevano indisturbati.

¤ Egli notò l'aspetto del sudario arrotolato separatamente, così come lo era stato quando il corpo fu preparato, suggerendoci che l'avvolgitura del capo aveva parzialmente mantenuto la sua forma circolare.

Un ladro che avesse rubato il corpo avrebbe preso il corpo con tutti i suoi panni avvolti.

Gli involucri che eventualmente fossero stati rimossi dal corpo, non sarebbero rimasti modellati in modo indisturbato. Come precedentemente descritto, c'era un luogo apposito per il corpo con uno scalino rialzato per il capo perciò il capo era avvolto separatamente dal corpo. Se qualcuno li avesse rimossi dal corpo, non sarebbero rimasti giacenti come posti in origine, cioè il sudario del capo a parte, nel posto dove si trovava il capo e gli altri panni dove si trovava il corpo indisturbato.

Pietro continuò a meditare nel suo cuore tutto ciò che aveva osservato.

Le Osservazioni di Giovanni

Quando Giovanni entrò nella tomba, ciò che vide lo portò ad una immediata comprensione, una comprensione intelligente dei fatti. La frase ciò che vide in questo versetto, denota una percezione mentale risultante principalmente dalla visione.

Pietro stava ponderando tutto ciò che aveva osservato, Giovanni invece no. Ora avendo visto la prova della tomba vuota, comprese che il Suo Signore era risorto dai morti. Nel versetto 8-9 ci viene detto che comprese e credette. Capì che la Scrittura del Vecchio Testamento e le stesse parole di Cristo riguardavano il fatto che il Messia sarebbe stato eliminato, ma avrebbe fatto ritorno e regnato attraverso la risurrezione. (Cfr. Sal. 16:10; Dan. 2; Dan. 7; Dan. 9:6) Prima non avevano compreso le Scritture o le parole di Cristo. Ma ora gli occhi di Giovanni si aprirono (cfr. Luca 24:25-27, 44-47).

La Prova
dell'Apparizione di Cristo

Le apparizioni di Cristo che seguirono la Sua risurrezione sono altre prove storiche schiaccianti. Le donne ed i discepoli videro, sentirono, e pure toccarono il Signore. Infatti, 500 fratelli in una sola volta lo videro (1 Cor. 15:6).

Sono state date varie spiegazioni riguardo la risurrezione, ma nessuna di esse onestamente e in modo chiaro concorda con la registrazione storica e sono chiaramente tentativi pregiudiziali di negare l'evidenza.

R. T. France nel suo libro, The Evidence for Jesus, scrive di teorie tipiche riguardanti Gesù, la Sua vita, morte, e risurrezione e i vari tentativi della gente di arrivare al cosiddetto vero Gesù attraverso tali teorie sia da articoli su periodici, libri o serie televisive. Egli mostra come questi danno sempre la prominenza alle teorie degli scettici e, principalmente non trattano il Vangelo come una prova storica. Alla fine del libro, dopo aver discusso sia di non-Cristiani che di prove bibliche, fa la seguente dichiarazione:

Si nota nei capitoli iniziali la tendenza di alcuni scrittori nel tentare di riscoprire il ritratto del Gesù del NT, in cerca di un più 'recente' Gesù che persino al tempo in cui i documenti del Nuovo Testamento furono scritti era stato ampiamente dimenticato e rimpiazzato da una figura semi-mitica, il 'Cristo di fede'. Si è visto ripetutamente che la prova sulla quale questo tipo di ricostruzioni sono basate (quando non sono pure speculazioni insostenibili) è infatti datata posteriormente agli scritti del NT, e può generalmente essere identificata con quelli che intorno al secondo secolo erano visti come movimenti eretici. Si tratta di una deviazione dal messaggio originale Cristiano, usualmente in direzione di una fede più attraente per il clima filosofico o religioso del giorno. The Evidence for Jesus, R.T. France, The Jesus Library, Michael Green, series editor, pp. 165-166)

La Prova
dei Discepoli Trasformati

I discepoli avevano visto il loro maestro morire e a motivo di questo, avevano perso ogni speranza. Cristo aveva detto loro che sarebbe morto e risorto. Infatti ciò era parte integrante delle Sue affermazioni. Tuttavia erano compunti, pienamente scoraggiati, e si incontravano in posti oscuri, mentre dopo la risurrezione, troviamo i discepoli gioiosi, senza timori, e rendenti pubblica testimonianza. Erano persino pronti a morire e sicuramente non pronti a morire per una menzogna (Cfr. Schaff, Vol. I, p. 173f.)

Pietro che rinnegò il Signore quando fu messo a confronto con la giovane, proclamò coraggiosamente la parola durante la Pentecoste davanti agli stessi capi religiosi che crocifissero Cristo.

Quando consideriamo la trasformazione dei discepoli in congiunzione col silenzio dei Giudei e la loro incapacità di produrre il corpo di Cristo o qualsiasi prova contraria, gli eventi di Pentecoste diventano un'altra prova della risurrezione di Cristo.

La Prova della Pentecoste
(Acts 2-4)

Solo 50 giorni dopo la morte e la risurrezione, Pietro predicò la dottrina della risurrezione e migliaia si riunirono per ascoltarlo. Ma il punto importante è che stava predicando al popolo che ebbe accesso alla tomba. La risurrezione non era un fatto nuovo, e ne stava predicando il significato dalle Scritture del Vecchio Testamento (Sal. 16:8-10).

Nessuno offrì una controprova. I Giudei stavano in silenzio, un silenzio che è significativo tanto quanto l'audacia dei discepoli nel parlare. Tremila persone le quali erano nella posizione di conoscere i fatti riguardanti la risurrezione di Cristo credettero e furono salvate. (Atti 2:41; 4:2-14).

Ci sono altre grandi prove della risurrezione di Cristo come:

¤ Le profezie del Vecchio Testamento.

¤ Le profezie di Cristo stesso.

¤ L'esistenza della chiesa.

¤ L'osservanza della Domenica come primo giorno della settimana.

¤ La trasformazione e la testimonianza di Paolo

Le prove che abbiamo menzionato in questo studio sono più che sufficienti per mostrare la validità della risurrezione. Per negarlo, in vista di una prova, uno non dovrebbe solo negare i suoi processi razionali, ma dovrebbe negare la Cristianità e le Scritture come valide e fonti di salvezza per l'umanità

Il Significato Dottrinale
della Risurrezione

La teologia della risurrezione è di vitale importanza al Cristiano poiché influisce sulla sua salvezza e la sua santificazione. In I Pietro 1:3, Pietro indica che siamo generati ad una viva speranza per mezzo della risurrezione di Gesù Cristo dai morti. Ci sono diverse ragioni per questo.

¤ La risurrezione autentica Cristo come il Figlio di Dio (Rom. 1:4)

¤ La risurrezione dimostra il valore espiativo dell'opera di Cristo (Rom. 4:25). Risuscitato per significa che dimostra la sufficienza della Sua redenzione per la nostra giustificazione. La risurrezione non fornisce la nostra giustificazione, essa dimostrò che la morte di Cristo era sufficiente per portarci alla giustificazione per fede. Giustificati dunque per fede (come provato dalla risurrezione) abbiamo pace (Rom. 5:1).

¤ La risurrezione garantisce la nostra salvezza (1 Cor. 15:17-19). Offre sicurezza riguardo la nostra salvezza e permette conforto circa i nostri amati deceduti (I Tess 4:13f ). C'è una iscrizione che si trova a Tessalonica la quale dice, Dopo la morte, nessun ritorno in vita, dopo la fossa nessun incontro. La risurrezione garantisce che questo tipo di credo è falso.

¤ E' la base della nostra santificazione (Rom. 6). Così come Cristo fu vincitore sul peccato e sulla morte, così anche noi possiamo essere vittoriosi grazie alla nostra identificazione o unione con Lui.

¤ La risurrezione di Cristo come primogenito dai morti è la garanzia della nostra risurrezione e del corpo glorificato che riceveremo alla risurrezione dei santi (Fil. 3:20-21).

Pertanto possiamo vedere che tramite la risurrezione, all' uomo viene data una speranza viva perchè essa dipende da un Salvatore vivente. Tutti gli altri capi religiosi sono morti, Maometto, Budda, Confucio. I fondatori dei culti religiosi sono tutti nelle loro tombe, i loro corpi marciti nella polvere. I loro seguaci hanno una speranza morta, ma hanno anche qualcos'altro.

Conclusione

In Atti 17:31 leggiamo,

… Poiché egli ha stabilito un giorno in cui giudicherà il mondo con giustizia, per mezzo di quell'uomo che egli ha stabilito; e ne ha dato prova a tutti, risuscitandolo dai morti.

Mentre la risurrezione può dare certezza di salvezza, una viva speranza, essa da anche certezza di giudizio perchè la risurrezione identifica Gesù Cristo come Figlio di Dio e dono della grazia di Dio per il nostro peccato. Per coloro che rigettano Cristo (il dono manifesto di Dio per la salvezza) non rimane altro che aspettare nell'angoscia il giorno del giudizio. Per il non credente è assicurata una seconda morte proprio come per il credente è assicurata la risurrezione per la vita.

La domanda importante è questa, riconosci Gesù Cristo come tuo personale Salvatore?

Le Soluzioni di Dio ai problemi dell'uomo

Dio è perfetta santità (il cui carattere santo non possiamo mai raggiungere con le nostre buone opere) ma è anche perfetto amore e pieno di grazia e misericordia. A motivo del suo amore, grazia e misericordia Egli non ci ha lasciato senza speranza e senza soluzione.

Romani 5:8 Ma Dio manifesta il suo amore verso di noi in questo che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.

Questa è la buona novella della Bibbia, il messaggio del vangelo. Il messaggio del dono dello stesso figlio di Dio che divenne uomo (il Dio-uomo), visse una vita senza peccato, morì sulla croce per i nostri peccati, e risuscitò dai morti dimostrando sia il fatto che Egli è il Figlio di Dio che il valore della Sua morte per noi come nostro sostituto (Rom. 1:4; 4:25).

2 Corinzi 5:21: Poiché egli ha fatto essere peccato per noi colui che non ha conosciuto peccato, affinché noi potessimo diventare giustizia di Dio in lui.

1 Pietro 3:18: perché anche Cristo ha sofferto una volta per i peccati, il giusto per gl'ingiusti, per condurci a Dio. Fu messo a morte nella carne, ma vivificato dallo Spirito.

La Domanda Importante per Tutti

Come si riceve il Figlio di Dio per poter avere la vita eterna che Dio ci ha promesso? Qual è oggi per noi la questione?

Giovanni 1:12: ma a tutti coloro che lo hanno ricevuto, egli ha dato l'autorità di diventare figli di Dio, a quelli cioè che credono nel suo nome.

Giovanni 3:16-18: Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna. Dio infatti non ha mandato il proprio Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma affinché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato ma chi non crede è già condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio.

A motivo di quello che Gesù Cristo compì per noi sulla croce, la Bibbia dichiara che Chi ha il figlio ha la vita Possiamo ricevere il Figlio, Gesù Cristo, come nostro Salvatore ponendo fiducia nella persona di Cristo e nella Sua morte per i nostri peccati.

Questo significa che ognuno deve venire a Dio nello stesso modo con cui un peccatore che riconosce il suo stato di peccato, ripudia ogni forma di opera umana per la salvezza, e si affida totalmente solo a Cristo attraverso la sola fede per la salvezza.

Vuoi confidare in Cristo oggi come tuo personale Salvatore? Semplicemente dì a Dio che sai di aver bisogno del Salvatore Gesù Cristo, e che vuoi riceverLo per fede.

J. Hampton Keathley III is a 1966 laureato al Dallas Theological Seminary e già pastore all'età di 28 anni. Hampton attualmente scrive per il Biblical Studies Foundation ed insegna Greco al Moody Northwest (una estensione del Moody Bible Institute) in Spokane, Washington.

Versetti biblici tratti dalla versione Nuova Diodati.

 (Pretribulational Scenario)

The Key Passages

1 Thessalonians 4:13-18 teaches that Christ will return in the air to resurrect Christians who have died and then “rapture” (Latin for “caught up”) living believers together with dead so that all will from then on be “with the Lord.”

1 Corinthians 15:51-53 teaches that at the rapture (compare “trumpet”, “dead raised” – 1 Thessalonians 4:16) resurrected Christians and living Christians will all receive “glorified” bodies (compare Jesus’ glorified body – John 20:19; 21:1,13).

The Issue

Pretribulationists believe that Christ will return in the rapture, prior to the tribulation, to take believers to heaven. They understand the second coming of Christ in judgment to be after the tribulation (as in diagram).

Posttribulationists believe that the rapture of Christians and the second coming occur together after the tribulation.

Other less popular views are that the rapture will occur in the middle of the tribulation (midtribulationalism) or that the rapture will occur before the tribulation but only spiritually mature Christians will go (partial rapture theory) or that the rapture will occur during the last half of the tribulation but before the final judgments (pre-wrath rapture view).

Selected Arguments For a Pretribulational Rapture

No tribulation passage mentions the church.

Revelation 4-18 , which describes the Great Tribulation includes no reference to the church. Phrases such as, “those in Christ,” “the body of Christ,” or “the church” are not found. Tribulation believers are called “saints” or the “elect” – general terms that can apply to believers in any age. Actually no Old or New Testament passage on the tribulation mentions the church (Deuteronomy 4:20; Jeremiah 30:4-11: Daniel 9:27; 12:1,2; Matthew 24:15-31; 1 Thessalonians 9:10; 5:4-9).

Several passages explicitly state that Christians won’t go through the tribulation.

Revelation 3:10 teaches clearly that believers will be kept “from the hour of testing” (Revelation 4-18 – the Great Tribulation). Posttribulationalists must either change the meaning of these words or push all the catastrophes of the tribulation to the end of the tribulation or suggest that believers somehow are protected from the tribulation judgment on the earth. None of these explanations fit the facts. 1 Thessalonians 1:10 similarly states that Christians are to “wait for His Son from heaven…Jesus, who delivers us from the wrath to come.” 1 Thessalonians 5:9,10 teaches the same truth.

The imminence of Christ’s return demands a pretribulational rapture.

According to the pretribulational view Christ could return at any time (imminence). Many passages suggest this (1 Corinthians 1:7; Philippians 3:20; 1 Thessalonians 1:10; 1 Timothy 6:14; Titus 2:13; Revelation 22:20; etc.). According to other rapture views there is no imminence. Christ’s return for believers would be a predictable moment (middle of tribulation, end, etc.).

There is nobody to live in the millennium in the posttribulational views.

When the tribulation ends, there must be some people left in their natural bodies to live in and populate the millennial earth (Isaiah 65:7-25, etc.). If, as posttribulation-alists believe, the rapture of believers and the Second Coming of Christ in judgment are both at the end of the tribulation, there is no one left to populate the millennial earth. All believers are in heaven – raptured or resurrected. All unbelievers are destroyed and in hell. But in the pretribulational view, there is no problem. Many people will be saved during the tribulation (Revelation 7:4,9,14). Of those, many will be martyred (Revelation 6:11; 7:14; 13:15) but some will survive to the end of the tribulation (Matthew 24:22; Mark 13:13). These will enter the millennium in natural bodies (Matthew 25:34; the ones “left” enter millennium – Matthew 24:40,41 and Luke 17:34-37).

The Rapture and Second Coming are separate events.

The events of the rapture of the church and the Second Coming of Christ in judgment are distinctly different making it impossible to combine them into one event (as posttribulationalism does).

“There is a time to break and a time to build … a time to rend and a time to sew.”¹ With such words the Preacher summarizes the balancing tensions of life under the sun. Even within the narrow compass of Ezra’s ten chapters, this Solomonic merismus proves true. Constructing the temple, restoring the worship of Yahweh, and building national spiritual integrity necessitated breaking cultural and even marital bonds. Beyond those challenges, the Book of Ezra engages the existential tensions implicit in post-exilic Israel. Being “in the world, but not of the world” and trusting the “good hand of God” when confronted with the secular fist were among the more prominent problems the Israelites faced. Above and behind, yet provoking and controlling these antitheses, resides the center point of Ezra’s narrative, the God of Heaven. A narrative account of the first and second returns from exile, the Book of Ezra addresses these issues with a distinctly theological message that deserves careful attention.

Difficulties

Not unexpectedly, the student of Ezra’s theological message encounters a daunting array of difficulties in matters introductory, textual, theological, and methodological. Questions concerning the authorship and compositional relationship of Chronicles, Ezra, and Nehemiah surface more frequently than any others. Running a close second are issues surrounding the dates of Ezra and Nehemiah and their chronological position within Persian history. The historical progress of the text’s development into its present form and the disparate materials of Ezra’s narrative—lists, historical details, autobiography, court records, prayers—also pose problematic questions of literary coherence and theological intention. Other challenges include the absence of an explicit theological orientation, such as one finds in Chronicles, and the presence of theologically anomalous material: mandated divorce in Ezra 9-10. Perhaps the most formidable task confronting this dissertation is methodological: it must wed harmoniously two lines of inquiry, the literary and the Biblical-theological, that have typically been separated both in presupposition and in development.

Need

Despite the compelling challenges attending the Book of Ezra, no one has written a full-length treatment of its theological message and literary structure. This deficiency stems primarily from the consensus of OT scholarship, liberal and conservative alike, that Ezra is a component of a single literary work: Ezra-Nehemiah.²The primary reason advanced in support the literary unity of Ezra-Nehemiah is the fact that most ancient manuscripts, rabbinic literature, and early church fathers attest to this unity. In Codex Alexandrinus, the Aleppo, Codex and Leningrad Codex, Ezra-Nehemiah forms a single book. The Talmud (Babba Bathra 14b, 15a, and B. Sanh. 93b) as well as Melito of Sardis appear to view them as a unity. Tamara. C. Eskenazi, In An Age of Prose (Atlanta: Scholars Press, 1988), 11-12. For a thorough recitation and review of this evidence, see H. G. M. Williamson, Ezra, Nehemiah, vol. 16 of Word Biblical Commentary, ed. David A. Hubbard and Glenn W. Barker (Waco: Word Books, Publisher, 1985), xxi-xxiii. Conservatives who regard Ezra and Nehemiah as distinct literary compositions generally cite the presence of the list of Returnees in Ezra 2 and Nehemiah 7 as indicative of separate composition. To this may also be added the clear evidence that the plot of Ezra 7-10 reaches its denouement in chapter ten. Hypotheses concerning the rationale for the early combination of these two book may be found in Edward J. Young, An Introduction to the Old Testament (Grand Rapids: William B. Eerdmans Publishing Company, 1952), 369. Nonetheless, all who outline Ezra-Nehemiah recognize Ezra as a distinct unit of thought development. It possesses an undeniable integrity that merits its own theological analysis. That Ezra is not designed to be a historical chronicle of the post-exilic period, or even the rebuilding of the temple, is also recognized by conservative and liberal scholars alike.³ Its selectivity alone warrants this conclusion. The Book of Ezra presents, rather, a theologically charged narrative. The choice of this historiographic mode and the narrative poetic it invokes makes understanding its communicative strategies a prerequisite for grasping its theological message. Though the narrative form does not control the content of Ezra’s message, it does distribute meaning along unique lines—lines to which one must attend lest he read less than the author wrote, or infer more than the author meant.⁴

Theologically, the Book of Ezra possesses a dual significance. Together with Nehemiah, it forms the capstone of Old Testament history, yielding the only coverage of the post-exilic returns from Cyrus to Artaxerxes I. Looking forward, it also contributes to the last span of the bridge extending into intertestamental silence. As such, it helps lay the groundwork for the revelation of God’s final word, the Messiah. Apart from its challenging literary character, the universal nature of the problems Ezra addresses should impel one to study this book for the normative theology it contains.

Previous Works

The thesis that comes the closest to a theology of Ezra is a 1991 Ph.D. dissertation by Felisi Sorgwe , “The Canonical Shape of Ezra-Nehemiah and its Theological and Hermeneutical Implications.”⁵ Sorgwe discusses historical-critical, canonical, and Masoretic approaches to interpretation, the authorship of Ezra-Nehemiah, similarities and dissimilarities between the canonical shapes of Ezra-Nehemiah and Chronicles, and the theological interrelations between Ezra-Nehemiah and the rest of the OT canon. However, he devotes only one chapter to the isolation of nine theological themes whose composite message is “the calling and molding of Israel by God to be a worshiping community.”⁶ His brevity and combined treatment of Ezra and Nehemiah limit this chapter’s value as a theological analysis of Ezra. At present the only full-length treatment of Ezra from a literary perspective is Tamara Eskenazi ’s Ph.D. dissertation, “In An Age of Prose: A Literary Approach to Ezra-Nehemiah.”⁷ She examines Ezra-Nehemiah’s narrative structure, use of repetition, characterization, and interaction of viewpoints to locate its central ideology. She does not, however, deal with Ezra’s use of dialogue or informational gapping, and her choice to bracket all historical questions appears to have blinded her to one of Ezra’s most prominent literary strategies: temporal ordering. Her work also suffers from the assumption that Ezra and Nehemiah were not contemporaries, thus skewing her analysis of perspective and characterization.⁸ Other theses discuss topics tangential to Ezra’s theology and literary character,⁹ but none develop these aspects of Ezra proper.

Historically, Old Testament theologians have approached their task along thematic lines, attempting to distill the Old Testament’s theological essence from its disparate parts. Not surprisingly, then, relatively few OT theologies develop the theological message of OT books. The advent of Brevard S. Childs ’s canonical approach to OT studies,¹⁰ coincident with burgeoning interest in “the Bible as literature,” has provided impetus to understanding the communicative intent of scriptural texts in their canonical form.¹¹ Despite the large number of OT theologies produced in the wake of this interest, only two devote any serious attention to the theology of Ezra. Eugene H. Merrill offers an insightful chapter on “The Theology of Ezra-Nehemiah and Esther” in A Biblical Theology of the Old Testament.¹² Merrill ’s theology develops two themes from Ezra-Nehemiah: the person and actions of God, and the people of God. In his Old Testament Theology, Paul R. House dedicates a chapter to the theology of Ezra-Nehemiah.¹³ Despite his hyphenated title, he formulates his theological themes sectionally,¹⁴ rather than treating Ezra-Nehemiah as a literary complex with a pervasive theological unity. As is apparent from the foregoing chapter titles, no OT theology provides an analysis of the theology of Ezra proper. House ’s sectional treatment comes nearest this mark, but its survey approach limits the depth of its theological sounding.

A few OT introductions give brief summaries of the literary features and theology of Ezra. Raymond Dillard and Tremper Longman present a short analysis of Ezra’s generic features and its “theological message.”¹⁵ William Lasor , David Hubbard , and Frederic Bush note the literary effects of Ezra’s thematic concerns on his presentation of chronology (specifically in chapter four). Their theological summary suggests four themes spanning both Ezra and Nehemiah.¹⁶ In Introduction to the Old Testament as Scripture, Brevard Childs proposes an overarching literary structure and three theological themes that support the integrity of Ezra-Nehemiah’s canonical shape.¹⁷

The number of periodical articles that deal with Ezra’s theology or literary character can be counted on one hand. William Dumbrell attempts to demonstrate how Ezra-Nehemiah preserves the “theological tenor” of post-exilic eschatological expectation in relation to the restoration of the temple, the return from captivity as a “second Exodus,” and the rebuilding of Jerusalem.¹⁸ F. C. Fensham examines several themes in Ezra and Nehemiah as a means of understanding how the “Chronicler” uses his sources theologically.¹⁹ J. G. McConville ’s study highlights Ezra-Nehemiah’s use of prophecy to engender hope for the future of Israel despite her unsatisfactory condition at present.²⁰ Writing from a literary perspective, Tamara Eskenazi discusses the literary structure of Ezra-Nehemiah and its implications for the book’s integrity.²¹

More recently published commentaries often contain summary discussions of the theological and literary features of Ezra (or Ezra-Nehemiah). Commentary authors who provide some limited discussion of these features include Edwin Yamauchi , F. C. Fensham , and Charles Wilson .²² Derek Kidner ’s concise treatment, although using systematic theological categories, reflects careful attention to the theological data of Ezra.²³ Mervin Breneman ’s nine page section on the theology of Ezra-Nehemiah treats seven theological topics and also offers brief modern applications for each topic.²⁴ H. G. M. Williamson presents a theological reading of Ezra-Nehemiah that attempts to do justice to its narrative form. His treatment comes the closest of any author to synthesizing the literary and theological elements of Ezra-Nehemiah.²⁵ Two commentaries that focus entirely on the theological significance of Ezra are noteworthy as well: Mark Throntveit ’s Ezra-Nehemiah and J. G. McConville ’s Ezra, Nehemiah, and Esther.²⁶ Both commentaries offer valuable theological observations, though McConville focuses primarily on exposing the relevance of Ezra for modern Christianity. Literary “commentaries” on the text of Ezra are few and far between. The earliest, by Buckner Trawick , offers a source-critical reading of Ezra-Nehemiah.²⁷ Much more focused on genuinely literary elements, Shemaryahu Talmon briefly discusses narrative composition, structural devices, and the use of chronology in Ezra-Nehemiah.²⁸ Douglas Green ’s chapter in A Complete Literary Guide to the Bible provides the most valuable overview of Ezra-Nehemiah’s literary character. He outlines the major themes of Ezra-Nehemiah and then analyzes the use of characterization and style in the development of those themes.²⁹

Bible encyclopedias, dictionaries, and handbooks offer, in general, somewhat meager treatments of Ezra’s theology or literary character. However, the articles in The Anchor Bible Dictionary, The Oxford Companion to the Bible, and the Holman Bible Handbook deserve honorable mention.³⁰ Each presents some analysis of Ezra’s theological message. The most substantive offerings in this category are the articles in the New International Dictionary of Old Testament Theology and Exegesis and the Evangelical Dictionary of Biblical Theology.³¹ Unique in its approach, the Dictionary of Biblical Imagery examines the primary image patterns in Ezra, giving noteworthy attention to the details of the text.³² Beyond recognizing Ezra’s diverse generic elements or macroscopic structural patterns, none of the surveyed encyclopedia, dictionary, or handbook articles offer an examination of the literary character of Ezra.

Delimitations

In keeping with the nature of this dissertation, certain delimitations necessarily apply. As a Biblical theology, it does not interact with or rebut critical theories of authorship, date, or textual history. It does not address textual critical issues or crux interpretum unless pertinent to the exegesis of a specific passage. It does not provide a verse-by-verse commentary on the text, nor does it treat all theological issues relevant to systematic theology. As a literary analysis, it does not attempt to rehearse or refute the protean forms of modern and post-modern literary criticism such as New Criticism, Structuralism, Reader-Response, or Deconstructionism.³³ Although acknowledging the legitimacy of studying the purely aesthetic features of a narrative, this dissertation focuses solely on those narrative strategies that contribute to the reader’s understanding of Ezra’s message. The final delimitation involves Ezra’s historical background. One must understand Ezra’s message within the historical and prophetic context of the post-exilic period. Recent dissertations and monographs, however, provide more than adequate treatment of this material.³⁴ Thus, historical materials are introduced only in those instances where they illuminate specific aspects of Ezra’s literary or theological character.

Subject and Methodology

This dissertation attempts to fill the need for a full-length analysis of the literary and theological character of the Book of Ezra. More specifically, it seeks to discern what Ezra’s theological message is and how Ezra communicates that message through his narrative. The tools for pursuing the separate analyses incorporated here, the literary analysis³⁵ and the book theology,³⁶ have received much attention over the past three decades. Typically, studies focus on the literary or the theological aspect of a book and make only passing mention of the other. How these analytical modes cooperate and complement each other in ascertaining narrative meaning remains, therefore, relatively uncharted territory.³⁷ In order to achieve a holistic understanding of the Biblical text of Ezra, this study has employed the following methodology. The original text of Ezra (Hebrew and Aramaic) was translated and read repeatedly, and modern English versions were frequently consulted. Since Ezra’s literary form both precedes and embodies its theological function, literary analysis precedes Biblical-theological analysis. After summarizing the book’s central theological message, the dissertation concludes by demonstrating how Ezra develops this message along the narrative course.

The Application of Literary Analysis

Literary analysis is the careful examination of how an author’s compositional methods communicate his intended message.³⁸ As such, it complements and provides guidance to the Biblical theologian’s search for a book’s theological message. The first step in literary analysis involves ascertaining the genre of the text under consideration. A text’s genre determines the general rules by which one should interpret it. Despite the diversity of its compositional elements, the Book of Ezra fits within the narrative genre. Therefore, the second step will focus on analyzing Ezra’s narrative strategies.³⁹ The approach employed here moves from structural strategies that frame the narrative, such as temporal ordering and plot, to those that flesh out the narrative, such as characterization, dialogue, and point of view.Sternberg, 39-40, makes a strong point that none of the 8 “dimensions of Biblical form” are “differentiae of literary narrative”; i.e., features that distinguish literary narrative from other types of narrative. So I’m not making a facile assumption regarding the literariness of the Bible based on the inclusion of these element. Sternberg’s thesis is that the dominance/pervasiveness of the poetic function determines Scripture’s literariness. These elements are traced, not primarily to appreciate Ezra’s literary genius or his rhetorical control of reader interest, but rather with an eye to the ideological or theological constraints these strategies place on the reader.⁴⁰ In other words, the controlling question of this literary analysis is, “What theological themes are being advanced, developed, or highlighted by the author’s narrative techniques?”

The Application of Biblical-Theological Analysis

Following the analysis of the peculiar themes advanced by Ezra’s narrative techniques, the Biblical-theological method is applied to the text. This method involves two main processes: (1) isolating and developing Ezra’s theological subthemes, and (2) summarizing the book’s central theological message. The first step proceeds by using the tools of historical-grammatical exegesis to extract any thematic material not discerned through literary analysis. The dissertation then arranges and develops these themes logically, employing categories suggested by the text rather than borrowing systematic theological categories. Once the subthemes have been clarified, the central message of the book is summarized. This summary exposes how the central theme relates to Ezra’s historical setting and incorporates the book’s subthematic material.

Hearing the Message in the Reading Process

Having unraveled the intricate theological weavings of a book and separated the various themes into piles, most book theologies consider their task complete.⁴¹ However, the unraveling process obscures the vital relationship between the precisely analyzed thematic piles and the book’s textual tapestry. The discerning reader may identify individual themes as he reads through the text, but a critical question remains unanswered: if that is the theological message, why did the author not say it that way? In other words, why did the author write a narrative and not a thematic essay?

Consider attending a lecture on “The Messiah” by Handel in which the lecturer discusses the oratorio’s musical instrumentation, dynamics, and harmonies. He analyzes Handel’s compositional techniques, answering such questions as did Handel utilize counterpoint, what melodic repetitions occur, and how do Handel’s juxtapositions, combinations, and isolations of instruments and vocal lines contribute to the overall mood and texture of his work. The lecturer then offers an insightful summary of the theological themes and central message of the oratorio. If, however, the lecturer were to close without demonstrating how all the oratorio’s parts cooperate in the process of communicating that central message, his analysis would be incomplete. In the same way, the Biblical theologian has not finished his task until he gains an understanding of how the book’s message emerges in the process of reading. In other words, the Biblical theologian does not fully appreciate a book’s theological message until he understands how to hear that message in the process of reading the book.

Conclusion

In keeping with this methodology, this dissertation proceeds according to the following plan. Chapters One and Two deal with macroscopic structuring in Ezra: genre and temporal ordering. Chapter Three analyzes plot composition and dialogue. Chapter Four examines Ezra’s use of point of view and characterization. Chapters Five through Seven delineate the themes Ezra develops regarding Yahweh’s character, the importance of holiness, the Returnees’ continuity with pre-exilic Israel, and hope for the Returnees’ future. Chapter Seven concludes by showing how these themes meld into the central theological message of Ezra’s book. By tracing the emergence of Ezra’s theological message in the reading process, Chapter Eight provides a reader’s guide to the theological message of Ezra. Chapter Nine summarizes the conclusions made throughout the dissertation and then offers suggestions for further study and the homiletical use of Ezra.

¹ Ecclesiastes 3:3 , 7 . All Scripture quotations will be the author’s translation, unless otherwise noted.

² For a full recitation and discussion of the evidence supporting this position, see H. G. M. Williamson , vol. 16 of Word Biblical Commentary, ed. David A. Hubbard and Glenn W. Barker (Waco: Word Books, Publisher, 1985), xxi-xxiii. For contrary argumentation supporting the distinct literary compostion of Ezra, see David Kraemer , “On the Relationship of the Books of Ezra and Nehemiah,” JSOT 59 (1993): 74-76, or C. F. Keil , “Ezra,” in vol. 4 of Commentary on the Old Testament, trans. Sophia Taylor (1866-91; reprint, Peabody, MA: Hendrickson Publishers, 1996), 5-7.

³ F. U. Schultz states, “The books of Ezra and Nehemiah by no means intend to narrate the history of the entire period which they embrace… . This is clear not only from what they narrate, but also from that which they omit.” The Books of Ezra and Nehemiah, trans. and ed. by Charles A. Briggs, vol. 7 of Lange’s Commentary on the Holy Scriptures, ed. Philip Schaff (1871; reprint, Grand Rapids: Zondervan Publishing House, n.d.), 3. For similar comments by a liberal commentator, see Joseph Blenkinsopp , Ezra-Nehemiah (Philadelphia: The Westminster Press, 1988), 41.

⁴ As Ronald A. Horton so aptly states, “Because God saw fit to give supernatural character to human verbal materials, the Bible must be studied as human communication that uses the same verbal resources available to writers not supernaturally inspired. We can study its poetry as poetry, its allegory as allegory, its irony as irony, its artful structuring as artful structuring… . To know the Bible as a work of literature is to have … expanded our abilities to appropriate its truth.” Companion to College English, 2d ed. (Greenville: Bob Jones University Press, 2000), 254.

⁵ (Ph.D. diss., Baylor University, 1991), 133-76.

⁶ Sorgwe , 175. The author’s abstract expands his statement of Ezra-Nehemiah’s message, adding the phrase “so that the people might become an instrument of blessing to all the nations” (v). He fails, however, to provide any data to substantiate his claim that Ezra-Nehemiah presents Israel as an agent of universal blessing.

⁷ Tamara C. Eskenazi , “In An Age of Prose: A Literary Approach to Ezra-Nehemiah” (Ph.D. diss., Illiff School of Theology and The University of Denver [Colorado Seminary], 1986). Eskenazi’s dissertation has been revised and published as In An Age of Prose: A Literary Approach to Ezra-Nehemiah (Atlanta: Scholars Press, 1988). All subsequent references to In An Age of Prose will refer to this book.

⁸ Eskenazi admits the potential weakness of her analysis: “If it could be proven that Ezra and Nehemiah were, in fact, contemporaries, the significance of the pairing in the book would have to be reevaluated.” In an Age of Prose, 176-77.

⁹ For example, Doug Nykolaishen examines “The Use of Jeremiah 31 in the Book of Ezra” (M.A. thesis, Trinity Evangelical Divinity School, 1991); Timothy D. Lehman explores “The Role of the Priest in the Education of Post-Exilic Israel: Educational Insights from the Life of Ezra” (M.Div. thesis, Grace Theological Seminary, 1984).

¹⁰ Brevard S. Childs , Biblical Theology in Crisis (Philadelphia: The Westminster Press, 1970). Childs develops his approach further in Introduction to the Old Testament as Scripture (Philadelphia: Fortress Press, 1979) and Old Testament Theology in Canonical Context (Philadelphia: Fortress Press, 1986). This approach was “new” only in the sense that an accepted voice within critical circles was now advocating what conservative scholars have been practicing for years: taking the canonical form of Scripture as a serious object of theological study.

¹¹ What properly is a part of the canon is a discussion usually resolved in favor of accepting, for the Old Testament, the Masoretic Text as the “received text” of the Hebrew Bible. For a concise discussion of this issue, see Robert Alter and Frank Kermode , “General Introduction,” in The Literary Guide to the Bible, ed. Robert Alter and Frank Kermode (Cambridge: The Belknap Press of Harvard University Press, 1987), 1-8.

¹² Eugene H. Merrill , “A Theology of Ezra-Nehemiah and Esther,” in A Biblical Theology of the Old Testament, ed. Roy B. Zuck (Chicago: Moody Press, 1991), 189-201.

¹³ Paul R. House , Old Testament Theology (Downers Grove: InterVarsity Press, 1998), 512-18. House makes a distinctive contribution to OT Theology. Following the Masoretic canon both in order and book division, he exposes each book’s theological perspective on the person and works of God and offers a “canonical synthesis” that traces the relations of the parts to the whole of Scripture.

¹⁴ House sees Ezra 1-6 revealing “the God who restores the remnant to the land,” and Ezra 7-10 revealing “the God who purifies the remnant.”

¹⁵ Raymond B. Dillard and Tremper Longman III, An Introduction to the Old Testament (Grand Rapids: Zondervan Publishing House, 1994), 184-86.

¹⁶ Their four themes are (1) religious continuity, (2) temple and torah, (3) the importance of documents, and (4) future divine interventions. William S. Lasor , David A. Hubbard , and Frederic W. Bush , Old Testament Survey: The Message, Form, and Background of the Old Testament, 2d ed. (Grand Rapids: William B. Eerdmans Publishing Co., 1996), 557-65.

¹⁷ Childs contends that a deliberately manipulated chronology provides the structure in which “author or editor” of Ezra-Nehemiah develops the following themes: (1) Divine “use of foreign rulers,” (2) continuing opposition, and (3) separation from foreigners (624-38).

¹⁸ William J. Dumbrell , “The Theological Intention of Ezra-Nehemiah,” Reformed Theological Review 45 no. 3 (1986): 65-72.

¹⁹ F. C. Fensham , “Some Theological and Religious Aspects in Ezra and Nehemiah,” JNSL 11 (1983): 59-68. He examines five themes: the divine names, God as the Lord of history, religious discipline, a sense of guilt, and a living relationship with God.

²⁰ J. G. McConville , “Ezra-Nehemiah and the Fulfillment of Prophecy,” VT 36 (1986): 203-24.

²¹ Tamara C. Eskenazi , “The Structure of Ezra-Nehemiah and the Integrity of the Book,” JBL 107 (1988): 641-56.

²² Edwin M. Yamauchi , “Ezra-Nehemiah,” in The Expositor’s Bible Commentary, ed. Frank E. Gaebelein (Grand Rapids: Zondervan Publishing House, 1985), 4:565-98; F. Charles Fensham , The Books of Ezra and Nehemiah, The New International Commentary on the Old Testament, ed. R. K. Harrison (Grand Rapids: William B. Eerdmans Publishing Company, 1982), 16-19; Charles R. Wilson , “Joshua-Esther,” vol. 1, pt. 2 of The Wesleyan Bible Commentary, ed. Charles W. Carter (Grand Rapids: William B. Eerdmans Publishing Company, 1967), 436.

²³ Derek Kidner , Ezra and Nehemiah, The Tyndale Old Testament Commentaries, ed. D. J. Wiseman (Downers Grove: Inter-Varsity Press, 1979), 20-27.

²⁴ Mervin Breneman , Ezra, Nehemiah, Esther, vol. 10 of The New American Commentary, ed. E. Ray Clendenen (Nashville: Broadman & Holman Publishers, 1993), 50-58.

²⁵ Ezra, Nehemiah, xlviii-lii.

²⁶ Mark A. Throntveit , Ezra-Nehemiah, in Interpretation (Louisville: John Knox Press, 1992); J. G. McConville , Ezra, Nehemiah, and Esther, The Daily Study Bible (Louisville: Westminster John Knox Press, 1985).

²⁷ Buckner B. Trawick , “Establishment of a Church State after the Exile,” in The Bible as Literature, ed. Buckner B. Trawick, 2d ed. (New York: Barnes & Noble Books, 1970), 137-49. Trawick’s chapter rearranges the text and then summarizes the books’ contents, adding a few explanatory glosses. His brief discussion of differences between Ezra-Nehemiah and 1 Esdras, an apocryphal account of the return from exile, is the chapter’s one redeeming feature.

²⁸ Shemaryahu Talmon , “Ezra and Nehemiah,” in The Literary Guide to the Bible, ed. Robert Alter and Frank Kermode (Cambridge: The Belknap Press of Harvard University Press, 1987), 357-64. Although Talmon argues for the possibility of the separate authorship of Ezra and Nehemiah, he combines them in his analysis.

²⁹ Douglas Green , “Ezra-Nehemiah,” in A Complete Literary Guide to the Bible, ed. Leland Ryken and Tremper Longman III (Grand Rapids: Zondervan Publishing House, 1993), 206-13.

³⁰ David Noel Freedman, ed., “Ezra-Nehemiah, Books of,” The Anchor Bible Dictionary (New York: Doubleday, 1992), 2:731-41; F. Charles Fensham , “Ezra, The Book of,” The Oxford Companion to the Bible, ed. Bruce M. Metzger and Michael D. Coogan (New York: Oxford University Press, 1993), 219-21; D. C. Martin , “Ezra,” Holman Bible Handbook. ed. David S. Dockery (Nashville: Holman Bible Publishers, 1992), 465-66. Martin’s article gives helpful, though brief, attention to Ezra’s “Purpose and Theology” as well as its “Theological and Ethical Significance.”

³¹ P. E. Satterthwaite focuses on the themes of restoration, the returnee’s solidarity with pre-exilic Israel, and God’s initiative in the return. “Ezra: Theology of,” NIDOTTE, ed. Willem A. VanGemeren (Grand Rapids: Zondervan Publishing House, 1997), 4:635-37. Paul Ferguson discusses the following themes: God’s sovereignty, works, immanence, grace, and holiness; Scripture; the people of God; the means of grace; leadership and ministry; and, ethics and congregational polity. “Ezra, Theology of,” Evangelical Dictionary of Biblical Theology, ed. Walter A. Elwell (Grand Rapids: Baker Book House, 1996), 233-35

³² Leland Ryken , James C. Wilhoit, and Tremper Longman III, eds., “Ezra, Book of,” Dictionary of Biblical Imagery (Downers Grove: InterVarsity Press, 1998), 257-58.

³³ While each of these theories builds on a few valid observations about literature, they all ramify in ways that deny other literary essentials. For example, Reader-Response criticism begins with a recognition that every reader brings to a text a pre-understanding, yet it concludes that such a pre-understanding renders authorial intention irrelevant and that every reader creates his own meaning in interaction with the text. For an introductory critique of these theories see Tremper Longman III, Literary Approaches to Biblical Interpretation, vol. 3 of Foundations of Contemporary Interpretation, ed. Moiss Silva (Grand Rapids: Zondervan Publishing House, 1987), 103-23. Grant R. Osborne gives a more rigorous analysis of these theories and their implications for hermeneutics in The Hermeneutical Spiral (Downers Grove: Inter-Varsity Press, 1991), 365-415. For an extended historical treatment of literary approaches to Scripture, see David Norton , A History of the Bible as Literature, 2 vols. (Cambridge: Cambridge University Press, 1993).

³⁴ Consult Timothy W. Berrey , “A Theological Analysis of the Book of Zechariah” (Ph.D. diss., Bob Jones University, 1999), 17-40, for a helpful treatment of the period from Cyrus’s edict through the reign of Darius I. For a survey of the Persian Empire and its relation to the Bible, see Edwin M. Yamauchi , Persia and the Bible (Grand Rapids: Baker Book House, 1990); K. G. Hoglund , Achaemenid Imperial Administration in Syria-Palestine and the Missions of Ezra and Nehemiah (Atlanta: Scholars Press, 1992); Ephraim Stern , Material Culture of the Land of the Bible in the Persian Period 538-332 B.C. (Warminster, England: Aris & Phillips, Ltd., 1982); J. M. Cook, The Persian Empire (New York: Schocken Books, 1983). Edwin M. Yamauchi discusses archeology’s contributions to Ezra studies in his article, “The Archaeological Background of Ezra,” Bibliotheca Sacra 137 (1980): 195-211. For a helpful bibliography on the archeological background of Ezra and Nehemiah, see Shemaryahu Talmon , “Ezra and Nehemiah (Books and Men),” Interpreter’s Dictionary of the Bible, Suppl. vol., ed. Keith Crim (Nashville: Abingdon Press, 1976), 328.

³⁵ Helpful works on narrative analysis, more or less approaching the text from a conservative perspective, include Tremper Longman ’s Literary Approaches to Interpreting
the Bible; Richard L. Pratt , Jr., He Gave Us Stories (Phillipsburg, NJ: Presbyterian and Reformed Publishing Company, 1990); Meir Sternberg , The Poetics of Biblical Narrative: Ideological Literature and the Drama of Reading (Bloomington: Indiana University Press, 1985); Leland Ryken , Words of Delight: A Literary Introduction to the Bible, 2d ed. (Grand Rapids: Baker Book House, 1987). Other significant contributions, whose critical presuppositions occasionally skew their analyses, include Robert Alter ’s The Art of Biblical Narrative (New York: Basic Books, 1983), Adele Berlin , Poetics and Interpretation of Biblical Narrative (Winona Lake: Eisenbrauns, 1994); and J. P. Fokkelman , Reading Biblical Narrative: An Introductory Guide, trans. Ineke Smit (Louisville: Westminster John Knox Press, 1999).

³⁶ While Biblical Theology, as a unique discipline, is over two hundred years old, the proper method for doing book theologies remains a relatively new area of development. In his 1979 dissertation, Terry Rude offered one of the first definitions of a book theology: “The Biblical theology of a scriptural book may … be defined as the analysis of the book as a divinely inspired literary unit in order to discern, set forth, and corroborate its theological message.” “Imperative and Response: A Theology of Deuteronomy” (Ph.D. diss., Bob Jones University, 1979), 5. Gerhard F. Hasel has since championed the book theology as the first step in his “multiplex approach” to doing Old Testament Theology. Old Testament Theology: Basic Issues in the Current Debate, 4th ed. (Grand Rapids: William B. Eerdmans Publishing Company, 1991), 111-14, 194-208. For further discussion, consult Rodney K. Duke , “A Model for a Theology of Biblical Historical Narratives Proposed and Demonstrated with the Books of Chronicles,” in History and Interpretation: Essays in Honour of John H. Hayes, ed. M. Patrick Graham, William P. Brown, and Jeffrey K. Kuan (Sheffield: Sheffield Press, 1993), 65-77; Elmer A. Martens , “Accessing Theological Readings of a Biblical Book,” Andrews University Seminary Studies 34 (1996): 223-37; and Richard Schultz , “Integrating Old Testament Theology and Exegesis: Literary, Thematic, and Canonical Issues,” NIDOTTE, ed. Willem A. VanGemeren (Grand Rapids: Zondervan Publishing House, 1997), 1:185-205. Martens also supplies a helpful bibliography on book theologies in Old Testament Theology, Institute for Biblical Research Bibliographies, no. 13 (Grand Rapids: Baker Book House, 1997), 94-110.

³⁷ Though J. Barton Payne lists “literary studies” as a crucial element in Biblical Theology, by “literary” he refers only to textual criticism and higher critical studies. The Theology of the Older Testament (Grand Rapids: Zondervan Publishing House, 1962), 20-21. John Sailhamer explicitly addresses the literary nature of OT narratives but limits his comments primarily to its mimetic or representational function. Introduction to Old Testament Theology: A Canonical Approach (Grand Rapids: Zondervan Publishing House, 1995), 43-54. Grant Osborne , however, recognizes the necessity of both elements in interpreting narrative: “the interpretation of narrative has two aspects: poetics, which studies the artistic dimension or the way the text is constructed by the author; and meaning, which re-creates the message that the author is communicating” (154).

³⁸ Alter defines literary analysis as “the manifold varieties of minutely discriminating attention to the artful use of language, to the shifting play of ideas, conventions, tone, sound, imagery, syntax, narrative viewpoint, compositional units, and much else” (12).

³⁹ In his book, The Poetics of Biblical Narrative, Meir Sternberg enumerates eight narrative features that comprise the central elements in Biblical poetics: “(1) Temporal ordering, especially where the actual sequence diverges from the chronological; (2) Analogical design: parallelism, contrast, variation, recurrence, symmetry, chiasm; (3) Point of view, e.g., the teller’s powers and manipulations, shifts in perspective from external to internal rendering or from narration to monologue and dialogue; (4) Representational proportions: scene, summary, repetition; (5) Informational gapping and ambiguity; (6) Strategies of characterization and judgment; (7) Modes of coherence, in units ranging from a verse to a book; (8) The interplay of verbal and compositional pattern” (39). While terminology may differ, the literary analysis offered here deal with the majority of these narrative strategies.

⁴⁰ Sternberg proposes that all narrative is “regulated by a set of three principles: ideological, historiographic, and aesthetic” (41). In the same vein, Leland Ryken speaks of “three impulses that we find intertwined through the Bible”: theology, history, and literature (Words of Delight, 14). How these regulative principles cooperate in Biblical narrative is, as Sternberg notes, “a tricky question” (ibid.). To deal fully with the interrelations of these three narrative controls in the Book of Ezra is beyond the scope of this dissertation. In keeping with its Biblical-theological aim, the literary analysis section of this dissertation focuses specifically on the contribution of the aesthetic principle to the theological message of Ezra.

⁴¹ For example, J. Frederick Creason defines a book theology as “an analysis which divorces the components of [a book’s] message from their literary structure, arranges them topically, and lays them open for a careful investigation.” “A Biblical Theology of Judges” (Ph.D. diss., Bob Jones University, 1985), 1-2.